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Andrea Cappannari docente e operatore in tecniche di massaggio e relazione di aiuto

Il compito del terapista non è curare

Il compito del terapista non è curare?

Suona un pò strano vero?
Anche a me, ma è una consapevolezza a cui mi sto piano piano abituando.

Quasi tutti coloro che iniziano a lavorare per il benessere altrui entrano nella modalità “Io ti guarirò!”
Questo slancio eroico, questa missione sentità dal cuore, nasconde numerose insidie, che non vanno assolutamente a beneficio né del benessere del ricevente né della crescita dell’operatore.

In primis, il soggetto del nostro operare.

Qui scivolo in una visione che condivido riguardo il curare qualcosa, senza pretesa che sia verità. Se credo che una cosa vada curata credo che sia sbagliata. E rinforzo questo modello sulla persona. Se io credo che un pezzo di me sia sbagliato e/o mi sia nemico, allora non mi sto amando, non mi accetto e sto dicendo che la Vita/Dio hanno sbagliato e/o mi hanno danneggiato.

Ogni disagio è un post-it che ci ricorda qualcosa che non sta andando bene nel nostro percorso vitale. È uno specchio. Quindi tutt’altro che nemico, è un amico da amare e con cui collaborare. Ci sta dicendo di prenderci cura di noi, ci vuole evitare problemi peggiori.
Quindi noi terapisti non curiamo, noi collaboriamo con l’essenza, con il corpo e la mente dell’altra persona per facilitare questa comunicazione.

Siamo solo catalizzatori di un processo dove la persona facendo esperienza di se Guarisce nel senso più alto del termine, ricoinciliandosi con se e la Vita e comprendendo meglio cosa ha bisogno per percorrere la sua Strada.

Noi operatori, al di là dei buoni e sinceri propositi, dobbiamo temere la nostra arroganza.
Sia la sindrome della crocerossina che quella del guaritore possono divenire trappole per il nostro ego, divise che ci danno importanza e ci fanno sentire utili. Si propone una situazione di up and down dove il terapista, magari non volendo, risulta superiore al ricevente.

Io Risolvo, Io Curo sono davvero stupidaggini. Nessuno guarisce se non lo vuole. Lo disse anche quel tizio in Galilea, che mi pare era ferrato in materia.
Lo spirito migliore dovrebbe essere il servizio al prossimo, scevro il più possibile da ricadute sulla propria autostima e serenità.

Io come terapista, al di là della vicinanza empatica con i disagi altrui, dovrei stare bene sia che lavori che no, sia che abbia o meno risultati.

A me spetta l’agire, usare al meglio i miei strumenti, essere totalmente li con la persona ed agire per il Suo massimo beneficio.
Ma dai risultati, a parte chiedersi doverosamente se abbiamo fatto tutto il possibile, dobbiamo distaccarci.
I risultati, come dicono in India, sono in mano a Dio

Non possiamo sapere la storia e la via di una persona. Se è utile per lei continuare ad avere quel disagio, se doveva passare da noi solo per fare una esperienza.
Se sta meglio gioiamo con lei per il suo stare bene e per essere stata protagonista di ciò.

Ognuno di noi ha la responsabilità della propria guarigione, da non delegare a nessuno, e credo sia una cosa bellissima.

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